«Hub and spoke», ossia «mozzo e raggio»: un modello di gestione linguisticamente poco chiaro

Introduzione

La locuzione angloamericana hub and spoke, registrata nel Dizionario di Economia e Finanza della Treccani (2012), indica un modello di gestione e di sviluppo di reti applicabile a vari ambiti (dal trasporto alla sanità, come poi vedremo nello specifico). In questo sistema vi è un punto centrale (detto hub) che consente di mettere in collegamento molteplici punti esterni (spokes). Le connessioni si indirizzano in tal modo sia dall’esterno verso il centro comune sia dal centro verso le numerose direttive esterne. L’espressione che dà il nome a questo modello si basa su un’analogia molto semplice (ammesso e concesso, però, che si sappia il significato dei due termini stranieri!): hub indica infatti il mozzo della ruota, mentre lo spoke il raggio. Il sistema di reti indicato dalla locuzione inglese è dunque simile ai collegamenti che intercorrono tra le due parti della ruota. Riportiamo la seguente figura a modello esemplificativo:

Immagine tratta da thefutureschannel

Il sistema hub and spoke viene utilizzato principalmente nella gestione delle reti di telecomunicazione e di trasporti, soprattutto quelli relativi all’aeronautica (sembra infatti che l’espressione sia nata nell’ambiente dell’aviazione civile americana). In questo settore si indica una base aeroportuale (o portuale) di riferimento, che rappresenta dunque l’hub (in italiano, come poi vedremo, si potrebbe parlare di snodo o di scalo), in cui si concentrano il maggior numero di voli (o navi) e si collegano a esso altre basi più piccole e periferiche (spokes). Tale modello permette di creare una rete in cui aeroporti più piccoli (altrimenti non collegabili tra loro a causa di un traffico aereo insufficiente) sono collegati tramite uno snodo centrale.

Immagine tratta da upgradedpoints

Dall’aereonautica il modello è stato adottato anche nell’ambito dei trasporti: alcune aziende hanno creato una rete di distribuzione delle merci in cui un grande centro distributivo centrale svolge il ruolo di hub e rifornisce punti vendita dislocati perifericamente e di dimensioni più piccole. Ma un altro esempio ci proviene anche dall’informatica: molte piattaforme cloud, tra cui Microsoft Azure, hanno adottato un modello hub and spoke per gestire la comunicazione, le risorse condivise e i criteri di sicurezza centralizzati (qui per approfondire).

E in sanità?

Il sistema è usato anche in ambito sanitario e con riferimento a diverse situazioni. Più frequentemente il modello è utilizzato a livello regionale per gestire patologie complesse o medicina d’urgenza. In questi casi specifici, in cui sono necessarie competenze estremamente specialistiche, spazi appositi e apparecchiature costose, non essendo possibile garantire in tutta la regione centri dotati di questi requisiti, si prevede che l’assistenza sia fronteggiata «da centri di eccellenza regionali o di macro area, detti appunto hub, a cui afferiscono dai centri periferici, detti spoke, i pazienti per i quali il livello di complessità degli interventi non può essere affrontata» localmente (s.v. Hub and spoke (medicina)). Nel caso della medicina d’urgenza, inoltre, il Decreto Ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 (leggi qui il decreto), che definisce gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, prevede quattro livelli di gestione: 1. Ospedale sede di Pronto Soccorso; 2. Ospedale sede di D.E.A di I Livello (spoke); 3. Ospedale D.E.A. di II Livello (hub); 4. Presidio ospedaliero in zona particolarmente disagiata. A tal proposito la Regione Toscana ha adottato tale modello in riferimento alle reti cliniche tempo-dipendenti per la gestione dei traumi e per l’emergenza cardiologica. Nel Documento di programmazione (leggi qui e qui) si legge infatti che «Il sistema Hub e Spoke garantisce l’afferenza diretta e riproducibile ai centri di alta specialità nei casi previsti e contestualmente opera con lo scopo sia di mantenere la operatività dei centri Hub attraverso l’appropriatezza dei ricoveri che di assicurare, nei casi previsti, la piena applicazione dei percorsi di continuità assistenziale presso i centri Spoke di afferenza, maggiormente nella fase post-acuta e riabilitativa».

Da ultimo, il modello qui presentato è stato adottato anche in riferimento a due questioni piuttosto recenti. La prima riguarda l’emergenza pandemica causata dal coronavirus. Più nel dettaglio, la distribuzione del vaccino è stata pianificata proprio secondo questo modello. Sul sito della Regione Toscana si legge infatti: «L’industria farmaceutica produce e distribuisce i vaccini ai 12 centri Hub che conservano il vaccino e lo distribuiscono ai centri Spoke i quali somministrano il vaccino alle categorie preposte», accompagnando il testo con questa immagine estremamente efficace (non a caso hub indica ormai “struttura attrezzata per lo svolgimento delle vaccinazioni e delle relative operazioni di anamnesi e controllo”):

Immagine tratta da regione.toscana.it

La seconda questione riguarda le Case di Comunità, promosse sull’intero territorio nazionale dal PNRR. Nel DM 77/2022 si legge infatti: «I principi che orientano lo sviluppo delle CdC [Case di Comunità] sono l’equità di accesso e di presa in carico, secondo il modello della sanità d’iniziativa, e il principio della qualità dell’assistenza declinata nelle sue varie dimensioni (es. appropriatezza, sicurezza, coordinamento/continuità, efficienza, tempestività). Per rispondere alle differenti esigenze territoriali, garantire equità di accesso, capillarità e prossimità del servizio, si prevede la costituzione di una rete di assistenza territoriale formata secondo il modello hub e spoke». Di conseguenza si stabiliscono CdC hub e CdC spoke: le prime hanno competenze maggiori e servizi più specifici (per es. équipe multiprofessionali; presenza medica h24 – 7 giorni su 7; presenza infermieristica h12 – 7 giorni su 7; punto Unico di Accesso (PUA) sanitario; punto prelievi; servizi diagnostici finalizzati al monitoraggio della cronicità con strumentazione diagnostica di base, ma anche servizi ambulatoriali specialistici per le patologie ad elevata prevalenza e servizi di prevenzione collettiva e promozione della salute pubblica, ecc.), mentre le seconde compiti più ristretti (per es. soltanto alcuni servizi ambulatoriali per patologie ad elevata prevalenza, come quelli del cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc.).

Un modello linguisticamente poco chiaro

La locuzione inglese, che conosce alcune varianti grafiche (hub and spoke, hub-spoke; a cui si aggiunge in italiano anche hub e spoke con la sola congiunzione tradotta, come si è visto nel testo del PNRR), risulta oscura ai più e ostacola non di poco la comprensione. Nonostante il termine hub (pronunciato in italiano ab senza l’aspirazione dell’h) sia registrato da alcuni dizionari italiani (il Devoto-Oli 2023 online riporta 4 accezioni del termine, da quello informatico di ‘dispositivo che collega i vari client al server, raccogliendo i cavi provenienti dai diversi computer’ a quello medico riportato precedentemente di ‘struttura attrezzata per lo svolgimento delle vaccinazioni e delle relative operazioni di anamnesi e controllo’), il suo significato non è conosciuto dalla maggior parte dei parlanti italiani. Stessa sorte tocca a spoke (pronunciato in italiano spók), non registrato nei dizionari di lingua italiana. Entrambe le parole, infatti, appartengono a un ambito settoriale con il quale il parlante italiano (anche ammesso che abbia studiato l’inglese) potrebbe non essere mai entrato in contatto (così, d’altronde, potrebbe verificarsi anche con i corrispettivi italiani mozzo e raggio della ruota). Tuttavia, anche se ipotizzassimo che il significato di hub e di spoke sia di pubblico dominio, al pari di quello di computer, potrebbe ancora non bastare: con la locuzione hub and spoke siamo di fronte a quella che in linguistica chiamiamo unità polirematica. Spesso l’unità polirematica ha un significato non-composizionale, cioè non ricavabile dalla somma dei significati dei suoi costituenti (si pensi ad esempio a luna di miele, espressione, peraltro, calcata anch’essa sull’inglese, il cui significato non è di certo quello letterale suggerito dalle due parole).

Del resto, l’intromissione di parole inglesi nella lingua italiana in ambito sanitario (oscure o più trasparenti) non è di certo un fattore di novità (si pensi ad esempio a caregiver). L’aggravante, tuttavia, non è tanto nel loro gradiente di oscurità o nel possibile utilizzo personale del singolo medico, quanto nella circolazione in documenti ufficiali rivolti al grande pubblico (come abbiamo potuto vedere, tale espressione non appare soltanto nei decreti ministeriali, ma anche nel sito del Ministero della Salute, per esempio qui). Sebbene ormai sia forse troppo tardi per proporre un’alternativa in italiano (si sarebbe potuto optare per la traduzione letterale “modello mozzo e raggio” oppure per espressioni più trasparenti come “modello centro-periferia”, “modello a raggiera”), crediamo che spiegare queste parole e offrire strumenti utili per comprenderle, come il nostro glossario, possano essere d’aiuto.

Kevin De Vecchis

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