Social Housing, due parole “mille” interpretazioni

I termini Social Housing sono ormai diventati una sorta di ospite fisso del gergo tecnico del settore delle politiche sociali che si occupano di offrire supporto alla sfera abitativa. Il respiro internazionale e il fascino cosmopolita e moderno che accompagnano le parole di etimologia anglofona portano spesso a distogliere l’attenzione dall’effettiva comprensione del loro significato. È opportuno quindi domandarsi: abbiamo veramente compreso a che cosa ci riferiamo con il costrutto Social Housing?

Innanzitutto, una delle principali caratteristiche del Social Housing è quella di essere una terminologia “versatile”, poiché associata a esperienze di sostegno all’abitare molto diverse tra loro. La poliedricità con la quale viene utilizzata questa locuzione contribuisce nel creare confusione rispetto al concetto che intende esprimere, di seguito proveremo dunque a effettuare un’operazione di recupero di significato rispetto a ciò che può essere definito Social Housing.

In questa direzione, il CECODHAS, ossia il Comitato di coordinamento europeo per il Social Housing, ha tentato di delimitarne i contorni definendolo come: “un insieme di attività utili a fornire alloggi e servizi con forte connotazione sociale, adeguati a coloro che hanno difficoltà a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato per ragioni economiche, per la loro incapacità di ottenere un credito, per l’assenza di un’offerta adeguata o perché colpiti da problemi particolari”.

A partire dalla definizione riportata nelle righe sovrastanti è possibile desumere due aspetti principali. Il primo è che il costrutto Social Housing rispecchia un insieme di politiche abitative in cui l’intervento immobiliare è pensato in funzione di offrire risposta a bisogni di natura sociale, rientrando a pieno titolo tra il vasto novero di strumenti di welfare state. Il secondo aspetto riguarda invece la genericità dei criteri che contraddistinguono la definizione proposta dal CECODHAS, appositamente creata per poter ricomprendere un cospicuo insieme di esperienze di Social Housing che differiscono sensibilmente tra loro in base al sistema di welfare dei Paesi nei quali trovano la loro realizzazione.

Focalizzando l’attenzione sul contesto europeo, i criteri di ammissione all’interno di forme di Social Housing, unitamente alla differente platea di beneficiari a cui quest’ultimi si rivolgono, hanno consentito la possibilità di delineare due macro tipologie di approccio. Da un lato troviamo la modalità Universalistica, diffusa principalmente nei Paesi nord europei (Danimarca, Svezia, Olanda), in cui l’attore pubblico rivolge a tutta la cittadinanza l’opportunità di accedere a forme di Social housing. In questo modello la concessione di alloggi o di supporti economici avviene attraverso delle liste d’assegnazione aperte a tutta la cittadinanza, caratterizzate da un sistema di quote che vanno a beneficiare prioritariamente i nuclei maggiormente bisognosi. Dall’altro lato si collocano le cosiddette modalità Mirate, ossia degli interventi di Social Housing rivolti a specifiche categorie di beneficiari che per varie ragioni non riescono ad accedere, e a sostenere, i costi abitativi imposti dal libero mercato. A loro volta gli interventi di Social Housing che adottano delle modalità mirate possono distinguersi in: residuali, nel caso in cui le azioni di supporto alla dimensione abitativa sono pensate per specifici target di popolazione caratterizzati da rilevanti forme di disagio sociale (come ad esempio disoccupati, nuclei monogenitoriali, persone con disabilità, anziani ecc.); generalisti, ovverosia degli approcci che prevedono l’accesso a forme di Social Housing per coloro che rientrano all’interno di determinate fasce reddituali tali per cui il sostentamento delle spese connesse all’abitazione nel libero mercato può condurre a situazioni di sofferenza economica, oltre che a condizioni alloggiative inadeguate. Generalmente gli interventi di Social Housing promossi nel nostro Paese rientrano in quest’ultima categoria.  Nello schema sottostante si è tentato di riassumere graficamente la suddivisione degli approcci possibili di Social Housing.

Schema strutturazione degli approcci di Social Housing

Oltre che per rintracciare il significato etimologico delle parole Social Housing, è necessario oltrepassare i confini nazionali anche per comprendere l’evoluzione normativa che ne regolamenta le attività in Italia. A seguito della Decisione 2005/842/CE della Commissione europea, la quale art. 86  considera il tema abitativo come un elemento ascrivibile agli obblighi di servizio pubblico, è stato ratificato dal Ministero delle Infrastrutture il Decreto n. 3904 del 22 aprile 2008, all’interno del quale compare per la prima volta la definizione di “Alloggio Sociale” e di “Edilizia residenziale sociale – ERS”. Il decreto definisce l’Alloggio Sociale come un’unità immobiliare che ha il compito di salvaguardare la coesione sociale attraverso la riduzione di forme di disagio abitativo per individui e nuclei che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. Sempre secondo quanto sancito dal Decreto, l’Edilizia Residenziale Sociale rappresenta il macro-ambito nel quale trovano attuazione i servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie, realizzati sia da attori pubblici che privati. L’impulso definitivo alla effettiva diffusione sul territorio nazionale di interventi di Edilizia residenziale sociale è stato prodotto dal Decreto legge 112/2008[1]. L’articolo 11 denominato Piano Casa, oltre ad aver garantito una ragguardevole allocazione di risorse economiche per sospingere la diffusione di interventi di Edilizia residenziale sociale, ha anche introdotto importanti elementi che ne hanno delineato in maniera sostanziale le caratteristiche. Un primo aspetto riguarda i beneficiari degli interventi che sono identificati in fasce di popolazione in condizioni di disagio abitativo non estremo (nuclei a basso reddito, giovani coppie, anziani, studenti fuori sede, immigrati regolari a basso reddito). Un secondo elemento riguarda, come in parte già accennato, il coinvolgimento di soggetti privati, e in particolare del privato sociale, sia nella messa a disposizione di risorse immobiliari e economiche che nella vera e propria erogazione dei servizi. In ultimo, in linea di continuità con quanto appena espresso, il Piano Casa ha assunto tra le proprie finalità quella di incentivare lo sviluppo di fondi immobiliari integrati a livello nazionale e locale volti a promuovere interventi finanziari di residenzialità sociale.

Il quadro descritto nelle righe precedenti evidenzia che tanto nell’Edilizia residenziale sociale, quanto negli interventi che il CECODHAS inscrive nel novero del Social Housing, l’attore pubblico si fa carico di soddisfare i bisogni abitativi mediante le seguenti caratteristiche:

  • ricorso a partnership pubblico-private secondo dei principi di sussidiarietà volti a condividere risorse immobiliari e finanziarie anche mediante il supporto di appositi fondi finanziari di investimento;
  • target di beneficiari degli interventi individuato nella cosiddetta “fascia grigia”, ovverosia la quota parte di popolazione che rientra in situazioni di fragilità non estreme;
  • ricorso a diverse tipologie di politiche abitative che spaziano dalla messa a disposizione di alloggi sociali al supporto dei canoni di locazione, in integrazione ad attività di accompagnamento sociale frequentemente realizzate in sinergia enti di terzo settore.

In conclusione, come spesso accade per i titoli dei film, ciò a cui ci riferiamo con Edilizia residenziale sociale appare come la miglior traduzione di Social Housing.

Di Andrea Failli – Federsanità ANCI Toscana

 

[Foto di The powercouple su Unsplash]

 

[1] Il decreto è stato successivamente convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133.

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