Basta una lettera ed è tutto un altro significato: S-vantaggio

Aggiungendo un prefisso alla parola vantaggio, si ribalta completamente la situazione. Lo s-vantaggio fotografa e indica una condizione negativa e d’inferiorità rispetto ad altri, che può essere associata a tutti gli ambiti, le fasi, i contesti e le situazioni della vita. Per comprendere meglio questa semplice constatazione possiamo fare riferimento alle principali definizioni normative di riferimento. La L. 381/91 “Disciplina delle cooperative sociali” fornisce un elenco delle cosiddette persone svantaggiate: “gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno” e specifica che “la condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla pubblica amministrazione, fatto salvo il diritto alla riservatezza.”[1]

Il DMLPS del 17 ottobre 2017 definisce lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati in conformità al Regolamento UE n. 651/2014 e a quanto espresso nei precedenti Regolamenti europei n. 800/2008 e 2204/2002 che trattano il tema della difficoltà ad entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro secondo criteri anagrafici, occupazionali, di appartenenza a minoranze e ad altre condizioni particolari. Gli svantaggiati devono alternativamente:

  1. non avere un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  2. avere un’età compresa tra i 15 e i 24 anni;
  3. non possedere un diploma di scuola media superiore o professionale o aver completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non avere ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito;
  4. aver superato i 50 anni di età;
  5. essere un adulto che vive solo con una o più persone a carico;
  6. essere occupato in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato;
  7. appartenere a una minoranza etnica di uno Stato membro UE e avere la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un’occupazione stabile”.

I lavoratori molto svantaggiati sono privi da almeno 24 mesi di un impiego regolarmente retribuito o, da almeno 12 mesi se appartenenti ad alcune delle categorie già specificate per i lavoratori svantaggiati.

Il concetto di svantaggio non è immutabile, ma si evolve nel tempo con la maturazione di una cultura più inclusiva, attenta alle differenze e alle pari opportunità; infatti si parla da tempo di svantaggio multidimensionale, che vede cumularsi fattori di povertà e deprivazione.[2]

Con l’introduzione della misura di contrasto alla povertà denominata Assegno di Inclusione – ADI[3], si registra il più recente inquadramento normativo riferito alle persone che possono beneficiarne “in condizione di svantaggio e inserite in un programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali certificato dalla pubblica amministrazione[4]. Viene infatti attestato che “si definiscono in condizione di svantaggio le categorie di seguito indicate:[5]

  1. persone con disturbi mentali, in carico ai servizi sociosanitari […];
  2. persone in carico ai servizi sociosanitari o sociali e persone con certificata disabilità fisica, psichica e sensoriale, non inferiore al 46 per cento […];
  3. persone con problematiche connesse a dipendenze patologiche, inclusa la dipendenza da alcool o da gioco, o con comportamenti di abuso patologico di sostanze […];
  4. persone vittime di tratta […];
  5. persone vittime di violenza di genere […];
  6. persone ex detenute, nel primo anno successivo al fine pena e persone ammesse alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno […];
  7. persone individuate come portatrici di specifiche fragilità sociali e inserite in strutture di accoglienza o in programmi di intervento in emergenza alloggiativa […];
  8. persone senza dimora iscritte […]; ovvero persone, iscritte all’anagrafe della popolazione residente, in condizione di povertà estrema e senza dimora, […] in quanto: a) vivono in strada o in sistemazioni di fortuna; b) ricorrono a dormitori o strutture di accoglienza notturna; c) sono ospiti di strutture, anche per soggiorni di lunga durata, per persone senza dimora; d) sono in procinto di uscire da strutture di protezione, cura o detenzione, e non dispongono di una soluzione abitativa; […];
  9. neomaggiorenni, di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni, che vivono fuori dalla famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria che li abbia collocati in comunità residenziali o in affido eterofamiliare […]”

Dopo questa disamina normativa si pone l’interrogativo se quella dello svantaggio sia una condizione innata e immutabile, cristallizzata dentro rigide categorie da “dentro o fuori” piuttosto che un dispiegarsi di sfumature, una condizione in divenire, verso la quale ciascuno può scivolare lentamente piuttosto che precipitare e stazionarvi a lungo?

Alla concezione categoriale si può provare a rispondere in maniera più tradizionale, attraverso contributi, donazioni e incentivi elargiti talvolta anche con spirito paternalistico; al sommarsi di vulnerabilità e alla comprensione della diversità delle situazioni si può provare a rispondere con un approccio universalistico di tipo selettivo, proattivo e promozionale, che riconosce il protagonismo dei cittadini e la loro capacità di compartecipare alla progettazione di processi di attivazione, finalizzati al cambiamento delle situazioni di svantaggio. Sono approcci culturali differenti, che aprono a visioni, strategie, politiche, misure e interventi molto distanti tra loro. Per cercare di far scomparire quel prefisso dalla parola vantaggio è necessaria l’alleanza sfidante tra servizi, organizzazioni e cittadini: non più vantaggio contro svantaggio ma parità tra tutti e per tutti.

Di Federico Grassi – Federsanità ANCI Toscana

[Foto di Jonathan Kho su Unsplash]

 

[1] L 381/91 art.4

[2] Le povertà e l’inclusione sociale in Toscana. VII Rapporto 2023. Regione Toscana, Osservatorio Sociale Regionale, ANCI Toscana.

[3] L 85/2023 Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro.

[4] DMLPS 154 del 13 dicembre 2023 art.3 c.1 lett. D.

[5] DMLPS 154 del 13 dicembre 2023 art.3 c.5.

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