Introduzione
Nel linguaggio medico e in quello sociosanitario è molto facile imbattersi in sigle o acronimi (riteniamo i due termini sinonimi, ma alcuni linguisti preferiscono operare una distinzione tra sigla e acronimo, intendendo con quest’ultimo le combinazioni formate non solo con le lettere iniziali ma anche con pezzi delle parole, per es. ISTAT – I[stituto] centrale di STAT[istica]). Sebbene siano un fatto abbastanza recente (Serianni 2005: 213 scriveva, infatti, che «la proliferazione degli acronimi è un fenomeno […] assente o trascurabile avanti la seconda metà del XX secolo»; si vedano anche Thornton 2004; Merlini Barbaresi 2007), queste sequenze di lettere, solo apparentemente prive di significato, si trovano ormai ovunque: appaiono nei referti scritti da medici e rivolti ad altri specialistici (per es. TC ‘tomografia computerizzata’), nelle riviste di settore, nei consensi informati, nella cartellonistica ospedaliera e, non da ultimo, nei testi burocratici del mondo sanitario, come quelli emanati dal Servizio Sanitario Nazionale (anche detto, per l’appunto, SSN). Se da un lato gli acronimi permettono una comunicazione più veloce tra gli esperti del settore e un risparmio di spazio e tempo (questo vale soprattutto nelle riviste scientifiche), dall’altra la loro presenza in testi (o in supporti) che hanno un circolazione più ampia (e quindi anche al di fuori dei confini per gli specialisti) rappresenta un ostacolo per la maggior parte dei cittadini. L’ostacolo non è dovuto soltanto alla loro quantità (spesso in poche righe ricorre un elevato numero di acronimi o sigle che non permettono di afferrare il senso generale della frase), ma anche al fatto che: 1. non sempre (anzi, quasi mai) vengono sciolte e spiegate; 2. lo scioglimento è difficile per i non addetti ai lavori perché spesso rispettano la sequenza di lettere propria della lingua inglese e non di quella italiana (un caso noto è AIDS ‘Acquired ImmunoDeficiency Syndrome’, che in francese e in spagnolo è SIDA, rispettivamente ‘Syndrome Immuno-Déficitaire Acquis’ e ‘Síndrome de inmunodeficiencia adquirida’, secondo lo stesso ordinamento Determinato + Determinante che si avrebbe in italiano: Sindrome di Immuno-Deficienza Acquisita).
Sono acronimi anche le tre parole di questo mese, LEA, LEP e LEPS, ossia i livelli essenziali dell’assistenza e delle prestazioni in ambito sociale. Si tratta di acronimi che ricorrono in diversi documenti sanitari e in leggi italiane, e che sarebbe il caso di conoscere perché riguardano diritti fondamentali di ognuno di noi.
LEA
La sigla LEA – usato in italiano come sostantivo maschile plurale (nei testi e nei documenti ufficiale è preceduto infatti dall’articolo plurale maschile i: “i LEA”) – sta per Livelli Essenziali di Assistenza e fa riferimento alle prestazioni e ai servizi sanitari che il SSN deve offrire sul territorio a tutti i cittadini, sia gratuitamente sia attraverso il pagamento di una quota di partecipazione (ticket).
Come si legge sulla pagina ufficiale del Ministero della Salute, la versione più aggiornata dei LEA è stata emanata nel 2017, ad opera del governo Gentiloni Silveri (in collaborazione con la Ministra della Salute Lorenzin e con il Ministro dell’Economia e Finanze Padoan), che attraverso il DPCM del 12 gennaio 2017 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 18 marzo 2017 nel Supplemento ordinario n. 15) ha provveduto a un aggiornamento e a un rinnovamento dei vari livelli di assistenza definiti per la prima volta più di quindici anni prima nel DPCM del 29 novembre 2001 dal governo Berlusconi (il decreto è firmato anche da Sirchia, allora Ministro della Salute, e da Tremonti, allora Ministro dell’Economia e delle Finanze). In sintesi il DPCM del 2017: “definisce le attività, i servizi e le prestazioni garantite ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale; descrive con maggiore dettaglio e precisione prestazioni e attività oggi già incluse nei livelli essenziali di assistenza; 3. ridefinisce e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione dal ticket; 4. innova i nomenclatori [per nomenclatore si intende una classificazione per cui ogni singola prestazione sanitaria è identificata da uno specifico codice alfanumerico, n.d.r.] della specialistica ambulatoriale e dell’assistenza protesica, introducendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed escludendo prestazioni obsolete” (Ministero della Salute). Inoltre nel Decreto vengono individuati tre livelli di assistenza:
- Prevenzione collettiva e sanità pubblica (ossia le attività di prevenzione rivolte alla collettività e ai singoli cittadini, per es. prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, programmi vaccinali ecc.)
- Assistenza distrettuale (cioè le attività e i servizi sanitari e socio-sanitari diffusi sul territorio, per es. assistenza sanitaria di base, assistenza sociosanitaria domiciliare e territoriale, assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale ecc.)
- Assistenza ospedaliera (cioè le attività e i servizi sanitari offerti nei presidi ospedalieri, per es. pronto soccorso, day hospital ecc.)
L’aggiornamento e l’ampliamento dei LEA, oltre a essere affidato alle singole Regioni, è compito della Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale, mentre il lavoro di verificare la corretta erogazione dei LEA e il rispetto delle risorse messe a disposizione dal SSN è proprio del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Decreto del ministro della Salute del 21 novembre 2005).
Come si evince dal sito della Camera dei Deputati, è previsto a breve un aggiornamento dei LEA.
LEP e LEPS
La sigla LEP – usata in italiano come sostantivo maschile plurale, proprio come LEA – si scioglie in Livelli Essenziali di Prestazione e fa riferimento alle prestazioni e ai servizi che devono essere assicurati in modo uniforme in tutto il territorio italiano per garantire i diritti civili e sociali dei cittadini (leggi qui), la cui “determinazione è competenza esclusiva dello Stato attribuita dall’art. 117 [della Costituzione]”, come ricorda il Dizionario di Economia e Finanza della Treccani (2012), alla voce LEP. Si parla di diritti connessi all’istruzione e alla formazione; alla salute (qui entrano in gioco i LEA); all’assistenza sociale; alla mobilità e al trasporto.
Senza entrare troppo nello specifico, la nascita di questi livelli di prestazione risale alla riforma che in Italia, con la legge costituzionale n° 3 del 2001, ha interessato il Titolo V della Costituzione, che ha comportato (per dirla semplificando molto un tema complesso) il potenziamento delle autonomie territoriali. La prima nozione di LEP appare infatti nei decreti della riforma Bassanini (è la legge n. 127/1997, che tra le varie cose prevedeva una suddivisione e una semplificazione amministrativa); successivamente nella legge di riforma dell’assistenza (328/2000) e nella legge delega 42/2009 sul federalismo fiscale (per federalismo fiscale si intende una dottrina politica ed economica alla cui base vi è una suddivisione amministrativa del Paese e “presuppone che ogni livello di governo provveda con proprie entrate a coprire le spese derivanti dall’adempimento delle proprie funzioni”, leggi qui).
Tra i vari livelli essenziali di prestazione si inseriscono i cosiddetti LEPS, ossia i Livelli Essenziali di Prestazione Sociale. Si tratta di prestazioni e servizi da garantire nell’ambito sociale a tutti i cittadini sul territorio, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di contribuzione. Tuttavia sia i LEP, che i LEPS, per motivi di natura economica in tutti questi anni non hanno trovato una regolare individuazione e attuazione.
Una svolta è avvenuta con la legge finanziaria del 2022 e grazie a diversi piani nazionali. Bisogna citare innanzitutto il Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023 in cui si legge: “Bisogna, dunque, costruire e definire Livelli Essenziali delle Prestazioni in ambito Sociale (LEPS). L’art. 22 della L. 328/2000, la Legge quadro nazionale, individua una serie di ambiti di intervento che riconosce come livelli essenziali”. In questo documento sono elencati alcuni punti (per es. i PUA o le dimissioni protette) su cui agire grazie anche a una concreta possibilità di realizzazione data dal PNRR (Missione 5, azioni,1.1.2, 1.1.3, 1.1.4, 1.2, 1.3 con fondi ad essi specificatamente dedicati, leggi qui). Il secondo documento è il Piano Nazionale per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà 2021 – 2023 in cui si trovano le schede tecniche di alcuni LEPS, individuando tra le prestazioni da assicurare a livello nazionale il pronto intervento sociale, il diritto all’iscrizione anagrafica e il diritto all’alloggio per le persone senza fissa dimora.
Possiamo concludere dicendo che si sta assistendo soltanto in questi ultimi anni alla definizione e al finanziamento dei primi LEPS: un grande passo in avanti.
Kevin De Vecchis
Crediti immagine: CANVA