Che cos’è la neurodiversità?
La parola neurodiversità – in cui neuro– ‘relativo al sistema nervoso’, confisso di origine greca tipico della terminologia scientifica specialmente medica, si lega al sostantivo femminile diversità – è un calco, ossia una trasposizione nella nostra lingua, dell’inglese neurodiversity, termine coniato dalla sociologa australiana Judy Singer nella sua tesi di laurea discussa nel 1998 (Singer 1997-1998; 1999; 2017) e usato nello stesso anno anche dallo scrittore americano Harvey Blume in un articolo apparso sulla rivista “The Atlantic” (Blume 1998; per l’origine del termine si rimanda all’articolo della National Conference for Community and Justice). Inizialmente Judy Singer conia il termine neurological diversity, che, tuttavia, ritiene poco adatto agli slogan: dalla locuzione iniziale passa quindi a neuro(logical)diversity.
La parola e il suo significato si basano, per analogia, sul termine e sul concetto di biodiversità: in natura non vivono soltanto varietà di organismi con patrimoni genetici differenti, ma anche individui con strutture mentali diverse, che pertanto risultano unici dal punto di vista della loro organizzazione neurologica. La neurodiversità, dunque, si può riferire a ogni essere umano (qui per approfondire)
La neurodiversità in Italia
Il termine e il concetto stesso di neurodiversità entrano in italiano soltanto recentemente (lo Zingarelli 2023 e il Nuovo Devoto-Oli 2023 registrano la prima attestazione della parola nel 2010, ma per una ricerca più approfondita si consulti la risposta della Crusca in uscita). Il loro ingresso si deve agli studi condotti in ambito sociologico, soprattutto grazie all’azione di attivisti, divulgatori e scrittori (si veda il lavoro in tal senso di Fabrizio Acanfora, presidente nella Neuropeculiar).
Un universo di possibilità
All’interno della neurodiversità, e dunque delle varie organizzazioni mentali che esistono in natura, rientrano sia “gli individui il cui sistema nervoso ha seguito uno sviluppo considerato tipico” (si parla in questo caso di neurotipicità e di neurotipico), sia i cosiddetti profili atipici (in quest’altro caso si parla, invece, di neuroatipico e neuroatipicità, neurodivergente e neurodivergenza e di neurodiverso), ossia “coloro che vengono catalogati in base ad alcuni comportamenti particolari frutto di differenze specifiche del neurosviluppo, come ad esempio nel caso dell’autismo, della sindrome di Tourette, dell’ADHD [Disturbo da deficit di attenzione/iperattività]” (Fabrizio Acanfora, Glossario della diversità, post sul blog www.fabrizioacanfora.eu, 27/9/2020). Una precisazione merita neurodiverso: quest’ultimo termine è usato spesso come sinonimo di neurodivergente in maniera impropria. Ogni persona è neurodiversa (perché ha una struttura mentale, appunto, diversa) e un gruppo può essere definito neurodiverso se al suo interno vi sono persone neurotipiche e neuroatipiche.
Bisogna precisare che l’opposizione tra neurotipico e neurodivergente (o neuroatipico o neurodiverso) non corrisponde assolutamente a quella tradizionale tra neurologicamente sano e neurologicamente malato. Non c’è, infatti, una contrapposizione in chiave medica: gli studi che sono stati condotti su questo tema mirano a valorizzare e legittimare i diritti dell’individuo, neurotipico o neuroatipico che sia, da un punto di vista non soltanto biologico, ma anche politico e sociale. L’obiettivo ultimo, dietro a queste scelte linguistiche, è quello di far sì che la neurodivergenza sia accolta come una diversità naturale al pari della neurotipicità e non venga più considerata una patologia da curare. Si parla di “specificità umana o differenza nei modi di socializzare, comunicare e percepire, che non sono affatto necessariamente svantaggiosi” (Morgese 2018), come d’altronde può accadere con altre differenze, come quelle legate all’etnia o al genere (cfr. Jaarsma-Wellin 2012).
In Toscana
All’interno del progetto “Cantieri della Salute” si può far riferimento a due percorsi di progettazione partecipata sensibilmente attenti alla neurodiversità. Il primo, nel territorio dell’Amiata grossetana – Colline metallifere – Area grossetana, è un servizio di mediazione che ha obiettivo la piena fruizione dei servizi sociosanitari a tutte le persone neurodivergenti. Questo progetto permetterebbe ad esempio alle persone nello spettro dell’autismo di essere aiutate nella comunicazione con gli operatori del servizio pubblico e al contempo faciliterebbe il personale sociosanitario nella corretta interpretazione della richiesta fatta dall’utente. A tal proposito tra gli obiettivi vi è la creazione di una nuova figura professionale, ossia il mediatore neuroculturale, che dovrà seguire un percorso di formazione sperimentale gestito dalla Neuropeculiar in collaborazione con la UICI Grosseto.
Il secondo percorso di progettazione, zona Fiorentina Nord-Ovest, che vede protagonisti il Comitato di Partecipazione, la Consulta del Terzo settore e altre associazioni del territorio, coadiuvati dagli attivatori di comunità, e in collaborazione con un punto vendita Unicoop Firenze nel comune di Sesto Fiorentino (vedi qui), ha come obiettivo l’adeguamento degli spazi del punto vendita per renderli più accessibili e fruibili alle persone neurodivergenti (si parla ad esempio di regolare la luminosità e i rumori) e con disabilità fisiche.
Kevin De Vecchis