L’espressione “caregiver familiare”, di recente entrata a far parte del linguaggio comune, si riferisce alle persone chiamate ad assistere un familiare, per un tempo più o meno lungo, a seconda che si tratti di malattia o di disabilità.
Il termine, una voce angloamericana che deriva da giver (‘chi dà’) e care (‘cura’), è stato tradotto in forme diverse, mettendo in evidenza la “mancanza di una definizione del concetto che sia comunemente accettata nel contesto italiano” (Adapt, 2018).
Più nel dettaglio, già nel 2008, il Vocabolario Treccani aveva inserito il neologismo “assistente familiare” ad indicare le persone che assistono per professione persone non completamente autonome, solitamente anziane. Di conseguenza, l’espressione aveva finito per sostituire quella di “badante”, ovvero una figura dedicata all’assistenza professionale (Treccani, 2008). Successivamente, nel 2021, il C. è stato definito come “chi dà assistenza a una persona non autosufficiente” (Treccani, 2021).
In questo contesto, da un lato, alcuni hanno sottolineato come sia il termine C. che “l’algida definizione burocratese “prestatore di cura”, che appare nella legge di Bilancio 2018 (Camera dei Deputati, 2021), “si possano né leggere né sentire” (Annamaria Testa, 2017). Dall’altro lato, l’Accademia della Crusca, attraverso il Gruppo Incipit che si occupa di esaminare e valutare neologismi e forestierismi ‘incipienti’ impiegati nel campo della vita civile e sociale, pur sottolineando l’importanza del “riconoscimento della solidarietà e della cura familiare come beni sociali” ha contestato come “questa attività abbia dovuto assumere la denominazione inglese «caregiver», seguita dall’aggettivo italiano «familiare»”, obblighi “a lunghe perifrasi per spiegare di chi e di cosa si stia parlando”. Di conseguenza, l’Accademia propone di far confluire le differenti disegnazioni presenti («familiare assistente», «prestatore di cure», «assistente domestico») nella denominazione unica di “familiare assistente” (Accademia della Crusca, 2018).
Oggi, nonostante il dibattito terminologico rispetto all’adeguatezza dei concetti non sia ancora concluso (Adapt, 2018), le norme individuano la figura del caregiver familiare nella “persona responsabile di un altro soggetto dipendente, anche disabile, di cui si prende cura in un ambito domestico”. Si tratta quindi del/la responsabile, in genere un familiare di riferimento, “che organizza e definisce l’assistenza di cui necessita una persona, anche congiunta”. In questa impostazione, il C.F. “si distingue quindi dal caregiver professionale, rappresentato da un assistente familiare che accudisce la persona non-autosufficiente, sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare” (Camera dei Deputati 2025).
Il dettato normativo consente quindi di ricondurre l’assistenza sia a professionisti, come infermieri o assistenti sociali, che a famigliari e amici, che si prendono cura di una persona cara. In ogni caso, a prescindere dalla definizione utilizzata, la figura del C. è sempre più centrale nel contesto della salute e dell’assistenza sociale, ricoprendo un ruolo cruciale nel garantire il benessere fisico ed emotivo della persona assistita.
di Marco Betti – Federsanità ANCI Toscana
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