Pasticca, pastiglia, compressa, pillola, capsula: un iperdosaggio di sinonimi?

Introduzione

Una grande parte dei medicinali in circolazione prodotta non solo in Italia ma anche all’estero arriva negli scaffali delle farmacie e nei reparti degli ospedali sotto forma di piccoli dischi (in realtà non soltanto tondi, ma anche di altre dimensioni, per es. ovali, rettangolari), raccolti all’interno di barattoli o ben confezionati in blister, ossia involucri trasparenti incollati su foglietti di alluminio. Si tratta di preparazioni farmaceutiche in forma solida che vengono composte tramite l’unione di sostanze medicamentose in polvere con un po’ di zucchero, solitamente poi incorporate in una pasta finale e spesso rivestite con materiali appositi (di nuovo lo zucchero oppure, ad esempio, il film, una sorta di pellicola digeribile).

In italiano siamo soliti riferirci a questi farmaci in diversi modi: c’è chi li chiama compresse, chi pastiglie o pasticche, chi ancora capsule o, per finire, pillole. Ma sono realmente sinonimi o c’è una reale differenza tra tutte queste parole? Vediamolo insieme.

Una compressa per iniziare

Iniziamo col dire sin da subito che nell’ampio ventaglio delle possibilità indicate la parola compressa è un termine tecnico, preferito rispetto agli altri in ambito medico e farmaceutico. È registrata infatti nel Dizionario Medico Dorland col significato di ‘forma di dosaggio solido che contiene una sostanza medicinale con o senza diluente idoneo’ e compare in molti foglietti illustrativi di farmaci a larga circolazione (qui alcuni esempi: XANAX compresse a rilascio prolungato 0,5mg; TACHIPIRINA 500 mg compresse; DELTACORTENE 5 mg compresse; AUGMENTIN 875 mg/125 mg compresse rivestite con film; BE-TOTAL compresse metabolismo energetico). Oltre a essere tecnicamente connotata, la compressa si differenzia anche per alcune caratteristiche: come si legge nel Vocabolario Treccani, essa è solitamente “più piccola” rispetto alla pastiglia e “preparata a forte pressione e con appositi eccipienti” (per fare un esempio concreto: il farmaco Bentelan è in compresse, mentre il Benagol è in pastiglie; per eccipiente si intende una sostanza che non ha proprietà farmacologiche ma che serve a facilitare la somministrazione di un farmaco).

Possiamo poi aggiungere che esistono diversi tipi di compresse: la compressa “con rivestimento enterico” (enterico significa relativo all’intestino tenue), ossia ricoperta da un materiale che ritarda il rilascio (altro termine tecnico che in medicina significa “effetto”) del farmaco (si dice anche “a rilascio modificato”), solitamente finché la compressa non lascia lo stomaco, la compressa di tipo “orale” o di tipo “sublinguale”, ossia fatta in modo che si sciolga quando è tenuta in bocca o sotto la lingua (si dicono anche “oro-dispersibili”; oro- fa riferimento alla bocca, come l’aggettivo orale, dal latino os, oris), cosicché il composto attivo possa essere assorbito direttamente dalla mucosa orale; la compressa “effervescente”, ossia da sciogliere nell’acqua; ecc.

Da un punto di vista linguistico, aggiungiamo solamente che compressa deriva dal femminile di compresso, participio passato di comprimere, ricalcato sul francese compresse da comprimer ‘comprimere’, cioè ‘ridurre di volume con una forte pressione’ (GDLI). Il termine entra in italiano prima del 1828 (ma con altro significato). Evidentemente, sia in francese sia in italiano, la sostantivizzazione del participio è frutto di un’ellissi, da (pastiglia) o (pasticca) compressa (pastiglia e pasticca, come vedremo, sono infatti termini più antichi).

 

   

Immagine tratta da Farmacia Murtas

 

Due pastiglie/pasticche per continuare

I due termini pastiglia e pasticca condividono la stessa base etimologica, ossia pasta ‘materiale o prodotto di consistenza morbida e pastosa’, ma hanno subito poi due trafile diverse: 1. pasta > spagnolo pastilla ‘piccola pasta’ > italiano pastiglia ‘piccola pasta’; 2. pasta + chicca ‘caramella’ > pasticca (l’etimologia di pasticca, tuttavia, non è certa e questa riportata è soltanto una delle possibili ipotesi, cfr. almeno De Gregorio 1899; Parrino 1981; GDLI).

Entrambe le parole, intercambiabili tra loro (ma secondo il Vocabolario Treccani pasticca è termine più popolare rispetto a pastiglia), vengono utilizzate prettamente in usi colloquiali o familiari (Vocabolario Treccani) come sinonimi meno tecnici di compressa (per es. un medico dirà di prendere una compressa di Tachipirina, un genitore ricorderà al figlio di prendere la pastiglia/pasticca per la febbre prima di andare al letto). Tuttavia, tale sfumatura non è precisata negli altri dizionari, come il Devoto-Oli e lo Zingarelli 2023, che usano nella definizione di pasticca, pillola e compressa il termine pastiglia.

Da un punto di vista storico-linguistico, pastiglia e pasticca sono entrate in italiano due secoli prima rispetto a compressa. Il GDLI ci fornisce un’attestazione di pasticca dal Ricettario fiorentino, un testo edito a Firenze nel 1623 (p. 226):

Si macini con un poco di zucchero fine e si mescoli e forma pasticche. Si può aggiugnere a dette pasticche un poco di amido

Oggi i due termini hanno perso quasi completamente la loro specializzazione scientifica e indicano per lo più le caramelle per la gola (è l’esempio di BENAGOL che nel foglietto illustrativo ha la dicitura  “Pastiglie gusto Miele e Limone”). Nel gergo dei giovani e dei tossicodipendenti pasticca e pastiglia indicano anche alcune droghe, come l’ecstasy.

 

Immagine tratta da Farmacia Ricciardiello

 

Tre pillole da mandar giù

Da un punto di vista linguistico, possiamo dire che pillola deriva dal lat. pilula ‘pallottolina, diminutivo di pila ‘palla’, e che compare già in italiano antico, come dimostra questo passo tratto da La santà del corpo di Zucchero Bencivenni (1310):

vale meglio a prendere di giorno che di notte per la fredura della notte, s’ella no fosse medicina di grossa sustanzia sì come sono pillole (TLIO)

Dall’uso medico, la parola è entrata anche in espressioni del parlato come indorare la pillola, nel senso di  ‘attenuare la spiacevolezza di un fatto presentandolo in modo meno negativo’ o in pillole ‘in forme brevi e semplificate’.

Da un punto di vista medico, la pillola è definita come un ‘preparato farmaceutico di forma sferica, per uso orale, ottenuto incorporando le sostanze medicamentose in un eccipiente’. Si tratta di una parola che ha un significato più generale e rimanda solitamente a farmaci molto piccoli che possono essere ingoiati facilmente. Nell’uso comune la parola pillola indica per antonomasia alcuni farmaci:  anzitutto l’anticoncezionale che inibisce l’ovulazione (è molto comune l’espressione prendere la pillola) e, più di recente, il contraccettivo orale che si prende dopo un rapporto sessuale (pillola del giorno dopo), oppure il Viagra (pillola blu, che serve a favorire e prolungare l’erezione). Sulle confezioni di questi farmaci il termine utilizzato è comunque compressa.

Immagine tratta da Focus

 

Quattro capsule per concludere

Concludiamo con capsula, probabilmente l’unico termine che mal si inserisce in un rapporto di sinonimia con le altre voci. Per capsula si intende infatti la ‘struttura in cui è contenuto qualcosa, come un involucro solubile contenente una dose di un farmaco’ (Dizionario Medico Dorland). Si intende solitamente un involucro di cheratina o di gelatina di forma ovoidale che consente al medicamento racchiuso di passare dallo stomaco all’intestino, dove poi si scioglie. Ma per metonimia il termine indica il farmaco stesso, che, come le voci precedenti, si ingerisce (o, per dirla con un tecnicismo collaterale tipico del linguaggio medico, si assume per via orale).

È un termine tecnico che viene riportato anche sulle scatole dei medicinali e sui foglietti illustrativi. Dal punto di vista linguistico si tratta di un latinismo (dal latino căpsula(m), a sua volta diminutivo di căpsa ‘cassa’) attestato in italiano già nel Quattrocento, ma usato in medicina solo a partire dall’Ottocento.

 

Immagine tratta da Farmaè

 

Conclusione

In definitiva, possiamo rilevare il frequente ricorso a diminutivi, in italiano (pillola) o nelle lingue di provenienza delle varie voci (spagnolo per pastiglia, latino per capsula), che sembra avere un uso attenuativo (serve, insomma, per … indorare la pillola), data la difficoltà con cui si ingeriscono certi farmaci, specie se solidi (o anche liquidi, ma di gusto sgradevole). E certo i termini più recenti (compressa, capsula) mostrano il progresso della medicina per facilitarne l’assunzione per bocca. I meno giovani ricorderanno che in passato molti farmaci in pasticche per essere ingeriti venivano inseriti in ostie bagnate. Mandarli giù non era facile, ma era sempre meglio di un’iniezione!

Kevin De Vecchis

 

Crediti immagine: Michał Parzuchowski

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Bibliografia

Nessuna bibliografia caraicata.

De Gregorio 1899 = Giacomo De Gregorio, Contributi alla etimologia e lessicografia romanza, «Studi glottologici italiani», 1 (1899), pp. 31-202.

Parrino 1981 = Flavio Parrino, Apporti della ricerca etimologica «dialettale» al chiarimento di problemi di etimologia «italiana», in Centro di studio per la dialettologia italiana, Etimologia e lessico dialettale. Atti del 12. Convegno per gli studi dialettali italiani (Macerata, 10-13 aprile 1979), Pisa, Pacini, 1981, pp. 283-302.

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