Tra tutte le frasi che la medicina ha regalato all’immaginario collettivo, “Dica 33” è forse la più celebre. Breve, curiosa, misteriosa. È una frase che si pronuncia quasi per gioco e si ascolta con serietà. Ma che significato ha davvero? E perché proprio 33?
Questa piccola formula, entrata nel linguaggio comune, è in realtà una richiesta clinica molto precisa: serve al medico per ascoltare le vibrazioni vocali trasmesse dal torace durante la fonazione. È un esercizio diagnostico antico quanto lo stetoscopio. Quando il paziente pronuncia “trentatré”, le vibrazioni generate dalla voce si propagano nel torace e possono essere percepite dal medico attraverso lo stetoscopio appoggiato sulla schiena. Se il suono arriva ovattato, amplificato o deviato, può indicare anomalie nei polmoni: versamenti, masse, addensamenti o altri segnali da approfondire.
Un numero, una vibrazione
Perché proprio trentatré? La scelta non è casuale: contiene suoni vocalici e consonantici che si prestano bene a questo tipo di auscultazione. Le “t” esplosive e le “r” vibranti generano frequenze acustiche ben distinguibili, capaci di attraversare i tessuti del torace e offrire una “mappa sonora” dello stato polmonare. In altri Paesi, come negli Stati Uniti o nel Regno Unito, si preferisce far dire “ninety-nine”, che ha effetti simili.
Ma in Italia, “33” è diventato quasi un marchio di fabbrica. Tanto che, a volte, viene usato persino nei fumetti o nei film per caratterizzare la scena del “medico di famiglia”.
La medicina che ascolta
Al di là della sua funzione diagnostica, “dica 33” è anche un gesto di ascolto. È l’istante in cui il paziente smette di essere solo un corpo da esaminare e diventa una voce da seguire. È una micro-interazione che ricorda come la medicina – anche nella sua espressione più tecnica – sia innanzitutto relazione.
Nel mondo della sanità territoriale, dove la prossimità, la continuità e l’umanizzazione dell’assistenza sono valori fondamentali, questo piccolo rito assume un significato ancora più profondo. Il suono della voce del paziente non è solo un sintomo, ma un modo per entrare in contatto, per conoscersi, per instaurare fiducia.
E oggi che la medicina si muove sempre più verso modelli integrati, comunitari e partecipati, quel semplice “33” continua a insegnarci che la diagnosi parte dall’ascolto, e che la voce del paziente è – ancora – uno strumento clinico di straordinaria potenza.
Una parola che vibra
In conclusione, “trentatré” non è solo un numero. È una parola che vibra: nel corpo, nell’aria e nella relazione. È un invito all’attenzione reciproca. È il simbolo – piccolo ma eloquente – di una medicina che non dimentica l’ascolto come primo atto di cura.
E allora, anche questo mese, diciamolo insieme: “dica 33”. Per ricordarci che dietro ogni diagnosi, c’è una voce. E che ogni cura comincia da lì.
di Luca Caterino – Federsanità Anci Toscana
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