Consenso deriva dalla parola latina cōnsēnsus, participio passato di cōnsēntīre, composto da “cum” (insieme) e “sentire” (provare sensazioni, sentire) sviluppando dunque il significato letterale di “sentire insieme” o “provare le stesse sensazioni/opinioni”. Il significato che va ad ottenere nel parlato odierno è spesso quello di un permesso accordato, di un giudizio favorevole o, in ambito politico, di sostegno e appoggio[1].
Ulteriore ambito di utilizzo è quello relativo alla libertà sessuale dove, al momento in cui si scrive, la definizione di consenso è oggetto di forte dibattito.
È stata infatti approvata alla Camera, e bloccata al Senato dove ha assunto la denominazione Atto Senato n.1715[2], una possibile modifica all’articolo 609 bis del Codice Penale che prevede che la violenza sessuale abbia luogo quando:
“chiunque, con violenze o minaccia o mediante l’abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali” o chi “induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; traendo in inganno la persona offesa perssersi il colpevole sostituito ad altra persona”
La riforma proposta, invece, modifica il primo periodo dell’articolo come segue:
“Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima”
Con questa formulazione si intende la partecipazione volontaria, non indotta o forzata in alcun modo, delle persone coinvolte nell’atto sessuale per l’intera durata dello stesso. Si passa dunque dall’ idea di un consenso implicito e costante quella di un consenso esplicito e revocabile. Questa modifica si pone all’interno di un cambiamento culturale che riconosce in misura crescente la possibilità della donna di autodeterminarsi[3] [4], senza che la sua voce o la sua accondiscendenza sia data per scontata. La nuova concezione di consenso ridefinisce difatti lo stupro, ponendo l’attenzione non sulla coercizione fisica ma sulla violazione del diritto della vittima di decidere del proprio corpo. Vengono dunque riconosciuti normativamente i casi di mancato consenso come quelli in cui la vittima è sotto l’effetto di alcolici o sostanze stupefacenti (e quindi non in grado di opporsi) o quelli di freezing ovvero quando la vittima si immobilizza e non riesce dunque a reagire. Il cambiamento principale, dunque, sarà la domanda alla base del procedimento, non più “c’è stata opposizione all’atto?” ma “c’è stato libero consenso?”.
Chi si oppone alla modifica dell’articolo pone due questioni: da un lato, l’ampiezza della casistica che (si sostiene) lascia spazio all’interpretazione del singolo rischiando un sovraccarico dei tribunali e ricorsi strumentali o pretestuosi alla legge. Dall’altro, si teme l’inversione dell’onere di prova, ovvero che spetti all’accusato dimostrare che il consenso all’atto sessuale esisteva piuttosto che alla persona offesa dimostrare di aver subito violenza. L’ampliamento della casistica di reato, o piuttosto il riconoscimento normativo di casistiche già discusse nei Tribunali, tuttavia non influisce sul funzionamento dell’ordine giuridico e rimane alla persona offesa (e quindi al pm) dimostrare l’assenza di consenso e rimarrebbe al giudice la responsabilità di stabilire, all’interno del contraddittorio delle parti, la veridicità del fatto. Per quanto riguarda invece la possibilità di un uso strumentale della normativa questa è presente, come per ogni altra legge d’altronde. È tuttavia opportuno ricordare che la violenza sessuale, per quanto le denunce siano aumentate progessivamente nell’ultimo decennio, è un reato notoriamente sotto-riportato. Le stime preliminari della rilevazione 2025 di ISTAT[5] riportano, infatti, che siano state 705.500 le donne vittime delle forme più gravi di violenza quali stupro e tentato stupro ovvero il 3,5% delle donne nella fascia d’eta presa in considerazione (16-75 anni).
Ridefinire il consenso, riportandolo forse anche alla sua interpretazione letterale di opinione o sensazione condivisa, è un modo per dar voce all’autonomia della donna (e non solo) sul proprio corpo, ribadendo l’importanza della possibilità di scelta.
di Agnese Bardelli – Federsanità ANCI Toscana
[immagine di Vladimir Srajber su Pexels]
[1] https://www.treccani.it/vocabolario/consenso_res-c2089dde-df34-11eb-94e0-00271042e8d9/
[2]https://www.senato.it/show-doc?leg=19&tipodoc=DDLPRES&id=1484413&idoggetto=0&part=ddlpres_ddlpres1-articolato_articolato1
[3] Viene considerata una tematica femminile e femminista data la prevalenza di vittime di sesso femminile – nel 2023 in Italia le donne costituivano il 91% delle vittime di violenza sessuale (Fonte: Ministero dell’Interno, nota 4). Con questo non si vogliono invisibilizzare le vittime di sesso maschile la cui esperienza, per quanto minoritaria a livello numerico, non è meno importante o dolorosa a livello umano.
[4] https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2023-09/elaborato.pdf
[5]https://www.istat.it/statistiche-per-temi/focus/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/il-numero-delle-vittime-e-le-forme-di-violenza


